
Nonostante la comprovata efficacia delle terapie con antiretrovirali, il virus dell’Hiv può nascondersi in una forma “latente” nelle cellule immunitarie chiamate cellule T CD4+, e non essere quindi riconosciuto come bersaglio. La sua “forza” sta nel fatto di essere quindi invisibile ai farmaci e di potersi riattivare una volta terminato il ciclo di antiretrovirali, producendo nuove particelle virali, e contribuendo a reinnescare l’infezione. “Se vogliamo curare l’Aids – spiega Guido Silvestri – dobbiamo combattere la latenza del virus Hiv”. E’ la prima fase di quella che gli esperti definiscono come la strategia ”shock and kill’‘: ”scuoti e uccidi”, ovvero prima risveglia il virus dormiente e poi punta a eliminarlo. “Quello che stiamo facendo ora – continua Silvestri – è un nuovo approccio combinato che permette di ottenere una riattivazione del virus mai raggiunta prima”. I due studi in questione si sono focalizzati proprio sulla prima fase dell’approccio “shock and kill”.
Come attivare il virus latente
Il team di Silvestri ci è riuscito in due mosse: inibendo l’azione dei linfociti CD8+, cellule immunitarie che sopprimono la trascrizione del genoma virale, e stimolando l’interleuchina 15, una molecola segnale essenziale per la risposta immunitaria. L’effetto sinergico di queste due azioni ha portato ottimi risultati nei topi colpiti da Hiv e trattati con antiretrovirali, ed anche nei macachi in cura, sempre con antiretrovirali, per l’infezione del virus Siv, ‘parente’ stretto dell’Hiv. In questo modo i ricercatori hanno ottenuto una robusta riattivazione del virus. Il passo successivo al “risveglio”, è la fase “kill” del virus ed è proprio su questo secondo step che si concentreranno studi futuri.
Lo stesso obiettivo è stato raggiunto anche dal gruppo di ricerca di Garcia in North Carolina, utilizzando però la molecola AZD5582: originariamente sviluppata contro i tumori, riesce ad attivare il fattore di trascrizione NF-kB che induce l’espressione dei geni del virus Hiv. “La cosa più eccitante di questi due studi pubblicati insieme – commenta Ann Chahroudi, pediatra della Emory University – è la concordanza dei risultati ottenuti in due modelli animali con entrambi gli approcci, e l’apertura di nuovi scenari per la ricerca di una cura contro l’Hiv”.
